NOVITA' PER IL LAVORO NEL DECRETO DIGNITA'

 

Stretta ai tempi determinati bonus assunzioni stabili e ritorno dei voucher

 

Nel passaggio parlamentare di conversione il D.L. 87/2018  (c.d. dignità, in vigore dal 14 luglio 2018), non ha subito rilevanti variazioni. Ricordiamo inoltre che le modifiche intervenute in Parlamento (norma transitoria, modifiche alla somministrazione, ecc) entreranno in vigore solo dopo la pubblicazione sulla G.U. Quindi al momento sono vigenti le disposizioni iniziali del decreto legge 87/18.

 

Tra le novità introdotte alla Camera vi sono la proroga degli incentivi per assunzioni stabili e il ritorno dei voucher. Altre novità sono la proroga del bonus assunzioni per il biennio 2019-2020 per gli under 35, lo sconto per 3 anni del 50% dei contributi con tetto massimo di 3mila euro l’anno.

La stretta arriva anche sui contratti a termine in somministrazione (sono esclusi solo i portuali). In caso di licenziamenti illegittimi aumenta l’indennità: da un minimo di 6 mesi a un massimo di 36. Tornano i voucher, ma solo per piccole strutture ricettive e in agricoltura. I buoni possono essere utilizzati per un massimo di 10 giorni. Per le imprese agricole limite di 5 dipendenti, 8 per quelle turistiche.

 

Novità del provvedimento

Tra le novità introdotte da decreto e legge di conversione vi sono:

Ø Proroga per under 35 ed esonero contributivo;

Ø contratti a tempo determinato;

Ø Somministrazione di lavoro;

Ø Nuovi voucher;

Ø Indennità per licenziamento ingiustificato;

Ø Delocalizzazioni dei siti incentivati.

 

Proroga per under 35 ed esonero contributivo

Al fine di promuovere l’occupazione giovanile stabile, ai datori di lavoro privato che negli anni 2019 e 2020 assumano lavoratori  che non abbiano compiuto il trentacinquesimo anno di età, con i presupposti già previsti, e a cui si applicano le disposizioni in materia di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a tutele crescenti, sarà riconosciuto, per un periodo massimo di trentasei mesi, l’esonero dal versamento del 50% dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, nel limite massimo di 3mila euro l’anno riparametrato e applicato su base mensile.

 

Contratti a tempo determinato

Tornano le causali; durata massima di 24 mesi; ridotte le proroghe; precisazione del profilo sanzionatorio.

Il limite è di 12 mesi, poi il proseguimento di un contratto a termine può avvenire solo in  presenza di   causali  entro  il tetto complessivo di 24 mesi anzichè 36. Per ogni rinnovo scatta   l’aumento dello 0,5%, le proroghe scendono da 5 a 4.  La nuova disciplina si applica ai contratti stipulati dopo il  14 luglio,  nonchè ai rinnovi e   alle proroghe successivi al 31 ottobre.

Il D.L. 87/2018 conteneva  un errore di impostazione: l’assenza di un regime transitorio. La legge di conversione cerca di rimediare  al vuoto, prevedendo un regime transitorio che si articola intorno a tre situazioni.

La prima ipotesi riguarda i contratti che erano in corso al 14 luglio, per i quali si potrà continuare ad applicare senza modifiche il regime precedentemente in vigore, sino al 31 ottobre. Il vecchio regime continuerà ad essere applicato, fino alla stessa data, anche per proroghe e rinnovi.

La seconda ipotesi riguarda i contratti stipulati dal 14 luglio, per i quali si applicano da subito le nuove regole su durata massima, limiti quantitativi e indicazione della causale nel primo contratto di durata superiore a 12 mesi, ma è previsto un periodo limitato di sopravvivenza (fino al 31 ottobre) del vecchio regime per le proroghe e i rinnovi.

Questa regola "parrebbe in modo cautelativo" ricavarsi dalla parte della norma transitoria che assoggetta alle nuove disposizioni i contratti stipulati dopo il 14 luglio «nonché» tutte le proroghe e i rinnovi contrattuali siglati dopo il 31 ottobre, senza distinzioni sulla data di inizio del contratto: il regime transitorio delle proroghe e dei rinnovi non sembra riguardare solo i contratti “in corso” al 14 luglio (limitazione contenuta nel Dl 87/2018 ma scomparsa dalla legge di conversione).

Per tale lettura tuttavia, non essendo  unanime e differenziandosi dal tenore letterale, in fase di prima applicazione si consiglia estrema cautela  nell'applicazione: proroghe, rinnovi e scadenze saranno infatti soggetti, in base alle date, a  regimi legali differenti.

La terza ipotesi riguarda i contratti stipulati dal 14 luglio che non siano interessati da proroghe e rinnovi fino al 31 ottobre: per questi rapporti, le nuove regole valgono da subito.

I costi aggiuntivi applicati ai rinnovi (il già ricordato 0,5%) si applicheranno anche ai contratti a termine in somministrazione. Limite di 12 mesi di durata per il contratto a termine, che solo con l’apposizione di causali può raggiungere 24 mesi. Per ogni rinnovo scatta un incremento dello 0,5%, in aggiunta all’1,4% della legge Fornero. Superati i 12 mesi, in assenza di causali, il contratto è trasformato in tempo indeterminato.

In riferimento alle modifiche sopra accennate e introdotte in sede di conversione, si tratta essenzialmente di modifiche dirette a precisare le conseguenze in caso di violazione delle nuove regole ovvero il sistema sanzionatorio:

- ipotesi n. 1: stipulazione di un contratto di durata iniziale superiore ai 12 mesi in assenza delle condizioni previste dalla norma, cioè privo di una valida causale, la conseguenza è che il contratto si trasforma in tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di dodici mesi;

- ipotesi n. 2: mancata apposizione di una causale valida al rinnovo del contratto e alle proroghe che portino la durata del contratto stesso ad eccedere i mesi 12, la conseguenza è la trasformazione del contratto in tempo indeterminato senza ulteriori specificazioni (il che condurrebbe a ritenere che la "trasformazione" si produca con effetto dal rinnovo o dalla proroga che siano privi della richiesta causale)

Non è chiara la differenza di trattamento tra le due ipotesi, se infatti ci soffermiamo all'interpretazione letterale della norma , il contratto che avesse fin dall'origine un termine superiore all'anno (sup. a 12 ma entro i 13) e fosse privo di causali non si trasformerebbe a tempo indeterminato se non al superamento del dodicesimo mese. Pensiamo quindi ad un recesso prima del termine inizialmente fissato ed entro i 12 mesi ebbene configurerebbe un recesso da un contratto non ancora trasformato con la sola conseguenza "prevista ordinariamente" del pagamento delle retribuzioni sino alla scadenza del termine.

Come spesso accade dovremo attendere i prossimi mesi per avere chiarezza interpretativa.

 

Somministrazione di lavoro

Tetto del 30% per i lavoratori temporanei.

La somministrazione si equipara ai contratti a termine: dopo 12 mesi scattano le causali (per l’azienda utilizzatrice), +0,5% per ogni rinnovo, ma niente “stop and go” tra due contratti. Tetto del 30% per i lavoratori in somministrazione e con contratto a termine, derogabile dai CCNL.

Spunta il doppio limite di utilizzo per contratti a termine e somministrazione, più favorevole verso la somministrazione.

Le nuove disposizioni affiancano al limite di contingentamento - il limite del 20% già previsto dal Jobs act per il ricorso ai rapporti a tempo determinato in una stessa azienda – una seconda soglia, autonoma e destinata a regolare il ricorso alla somministrazione a termine, pari al 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipula dei contratti di somministrazione stessi. Nel computo della percentuale indicata, il legislatore ha incluso anche gli eventuali contratti a termine in forza presso il datore di lavoro.

Pur trattandosi di una novità in termini normativi, alcuni contratti collettivi già disciplinano con regole diverse il ricorso alle due tipologie contrattuali.

Ed ancora, come avviene per il limite di utilizzo dei contratti a termine, anche la limitazione legale dei somministrati può trovare discipline diverse nella contrattazione collettiva (di qualsiasi livello); si rileva che  non è stata modificata la previsione già esistente che ne esclude l’applicazione per la somministrazione a termine dei lavoratori “svantaggiati”.

Nel caso in cui un’azienda ricorra solo a lavoratori a termine, deve far riferimento al limite legale del 20% rispetto ai contratti a tempo indeterminato. Se invece si avvalesse soltanto della somministrazione a termine ovvero sia di lavoratori a termine, sia di somministrati (sempre a termine) allora avrebbe un margine più ampio, quello del 30 per cento.

Le basi di computo dei tetti sui rapporti a termine e su quelli in somministrazione sono le stesse e in caso di inizio dell’attività in corso d’anno, il computo avviene sui lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento della stipula del contratto.

In ogni caso, occorre  verificare – se presenti – i limiti e il loro funzionamento contenuti negli accordi collettivi. Nonostante la stretta, la somministrazione resta favorita rispetto al contratto a termine. Sono infatti diverse le conseguenze derivanti dallo sforamento dei tetti di contingentamento: sul fronte dei contratti a termine, si applica una sanzione dal 20 al 50% della retribuzione dei lavoratori in sforamento (a seconda che il numero di questi ultimi sia pari o superiore a uno), mentre l’infrazione del limite sulla somministrazione a termine fa scattare “solo” una sanzione da 250 a 1.250 euro per l’utilizzatore. In questo caso, resta ferma la possibilità per il lavoratore di chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro all’utilizzatore.

Le norme dei contratti a termine si applicano alla somministrazione a tempo determinato, con l’eccezione dello «stop and go».. Le causali si applicano all’utilizzatore. Per la somministrazione fraudolenta (introdotto dall'art. 38-bis) Agenzia e utilizzatore sono puniti con al pena di  di 20 euro di ammenda per lavoratore e per ciascun giorno di somministrazione.

 

Nuovi voucher

Disposizioni per favorire il lavoratore nell'ambito di prestazioni occasionali.

Si estende a 10 giorni l’utilizzo.

Il divieto di ricorrere al contratto di  prestazione  occasionale  non si  applica alle  aziende alberghiere e  alle  strutture ricettive  del  turismo  che  hanno  fino a 8 lavoratori,  all’agricoltura  e  agli enti locali:  l’arco  temporale  per la durata della  prestazione non deve superare i 10 giorni.

Per gli altri settori economici, in base alla legge 96/2017, lo strumento può essere utilizzato in aziende fino a 5 dipendenti e per tre giorni.

Nel settore agricolo va autocertificata la non iscrizione nell’anno precedente agli elenchi degli agricoli.

 

Indennità per licenziamento ingiustificato

Conciliazione incentivata.

In caso di licenziamento illegittimo aumentano l’indennità minima (da 4 a 6 mensilità) e quella massima (da 24 a 36 mensilità) che l’azienda deve pagare al lavoratore.  L’incremento delle indennità scatta anche quando si opta per la conciliazione: in questo caso la minima aumenta da 2 a 3 mensilità, la massima da 18 a 27 mensilità.

Ricordiamo che sono state aumentate le indennità in un caso specifico di licenziamento illegittimo per i lavoratori a tutele crescenti, assunti dopo il 7 aprile 2015 e soggetti a tale disciplina.

Mediante modifica del comma 1 dell’articolo 3, D.Lgs. 23/2015, la sanzione risarcitoria prevista come regola generale, per le imprese con più di 15 dipendenti, passa da 4 - 24 mensilità a 6 – 36 mensilità, con un aumento di 2 mensilità come risarcimento minimo e un aumento del limite massimo a 36 mesi, così da incrementare l’indennità per i lavoratori con elevate anzianità (l’indennità, oltre le 6 mensilità, matura con 2 mensilità per ogni anno di servizio).

Per le imprese fino a 15 dipendenti, l’ammontare dell’indennità (articolo 9, D.Lgs. 23/2015) è dimezzato rispetto a quello definito dall’articolo 3, comma 1, della stessa legge: tuttavia non è stato modificato l’ultimo periodo dell’articolo 9, che fissa come limite di indennizzo 6 mensilità: pertanto, i lavoratori delle piccole imprese non beneficeranno di alcun incremento.

 

Delocalizazioni dei siti incentivati

Sanzioni  per  chi  trasferisce  le   attività da 2 a 4  volte i  benefici  per le aziende che  hanno ricevuto  aiuti di Stato e delocalizzano fuori dalla Ue.

Al fine di disincentivare la delocalizzazione della produzione, viene introdotta una norma con cui è prevista la restituzione degli eventuali aiuti di Stato percepiti per la realizzazione di investimenti produttivi avviati a decorrere dal 14 luglio 2018.

Le imprese che delocalizzano entro 5 anni devono restituire l’aiuto di Stato ricevuto con gli interessi (maggiorati di 5 punti). Se la delocalizzazione è al di fuori della Ue oltre alla revoca dell’aiuto si prevede una sanzione da due a quattro volte l’importo del beneficio. Punita anche la delocalizzazione di beni e macchinari incentivati con l’iperammortamento di industria 4.0, ma non se il trasferimento è temporaneo.

 

 

08/08/2018

 

www.studioansaldi.it

 

Studio Ansaldi srl – corso Piave 4, Alba (CN)

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