Analisi sui mercati finanziari a cura di Pierluigi Gerbino

Docente di Economia - 4° class. al Campionato Italiano di Trading Top Trader 2000

 

Anno 2007  -  Maggio

 

 

 

 

 

PERCHE’ L’ECONOMIA RALLENTA E LE BORSE SALGONO ?

 

COMMENTO

 

Casella di testo: Nessuno ha la sfera di cristallo. Le opinioni e le previsioni di questo report derivano dall’applicazione di tecniche di analisi e dall’esperienza diretta dell’autore. Si garantisce  scrupolo ed indipendenza nelle analisi. L’esattezza delle previsioni non può garantirla nessuno. I mercati azionari di tutto il mondo nelle ultime settimane hanno stupito tutti gli osservatori con una dimostrazione di forza assolutamente imprevista.

Mentre l’economia americana, da cui dipende l’andamento di tutte le principali Borse mondiali, evidenziava una notevole debolezza ed elementi di incertezza anche per il futuro, le Borse hanno non soltanto superato i massimi antecedenti alla correzione di fine febbraio ed inizio marzo, ma si stanno dirigendo con agili falcate verso i massimi assoluti segnati nella primavera del lontano anno 2000.

Facciamo rapidamente il punto sulle condizioni dell’economia americana, secondo quanto ci è stato comunicato nelle ultime settimane.

I dati relativi al primo trimestre 2007 sono stati oggettivamente piuttosto brutti. Tutte le componenti che misurano la crescita economica hanno mostrato un marcato rallentamento e pertanto non ha stupito il dato sintetico di crescita del PIL, che, secondo la prima stima effettuata dagli uffici statistici americani, nel primo trimestre si è fermato ad un modesto +1,3% su base annua, decisamente inferiore alle previsioni che gli esperti avevano fissato intorno al 2%. Considerando che la prima stima non recepisce gli ultimi dati relativi al mese di marzo, che sono stati piuttosto deludenti, non è azzardato ipotizzare nelle prossime settimane una ulteriore revisione al ribasso, magari al di sotto dell’1%, che sancirebbe un drastico aumento delle probabilità di assistere ad una stagnazione o addirittura ad una recessione negli USA. Quel che preoccupa, anche in prospettiva futura, è il rallentamento deciso della spesa per investimenti ed il crollo del settore edilizio, sceso del 17% circa. I consumi per il momento tengono e forniscono da soli il contributo maggiore alla pur modesta crescita. Ci si chiede però, se l’avvitamento del settore edilizio dovesse continuare e provocare quella perdita di posti di lavoro che ancora non si vede, come potranno i consumi continuare a crescere ancora e sostenere da soli la crescita.

E’ forse utile ricordare che la recessione del 2002 fu causata dal blocco degli investimenti aziendali mentre i consumi privati non fecero mai mancare il loro contributo positivo. Ora non siamo ancora al blocco degli investimenti, ma in compenso registriamo la crisi del settore edilizio.

Il fatto che i consumi degli americani continuino a crescere da oltre 10 anni senza mai mostrare cedimenti ha dello stupefacente, ma nel contempo lascia intravedere le conseguenze che avrebbe sull’economia americana uno stop al consumismo.

La voracità consumistica del popolo yankee ha certamente motivazioni culturali. Laggiù non si risparmia, ma si attinge a piene mani al credito anche per le spese non durevoli, a differenza di quanto succede nella più prudente Europa o in Giappone.

Ma la tendenza alla spesa facile è stata anche sostenuta negli anni dalla presenza di un certo “effetto ricchezza”, che ha rassicurato gli americani e li ha spinti a fare affidamento sulla crescita del loro patrimonio anche in assenza di risparmio. Negli anni ’90 l’effetto ricchezza è stato provocato dalla lievitazione del valore delle azioni in portafoglio. Venuto a mancare nel triennio 2000-2003 tale sostegno, si è trovata immediata compensazione nella lievitazione del valore degli immobili, sui quali in questi anni si è creata una vera e propria bolla speculativa. La crescita del valore delle case si è fermata da qualche mese, ma è tornato a salire da ben 4 anni il valore delle azioni.

Inoltre, a rassicurare gli americani, ha contribuito anche la creazione costante di posti di lavoro che il sistema economico da oltre 3 anni sta producendo, che ha portato il tasso di disoccupazione ben al di sotto del livello, ritenuto fisiologico, del 5%.

Non ritengo sia privo di logica e di buon senso prendere in considerazione l’eventualità che la serie di favorevoli combinazioni, che ha consentito per molti anni agli americani di vivere al di sopra delle proprie possibilità, possa magari subire una interruzione. Sono curioso di verificare se l’ottimismo consumistico proseguirà anche quando avremo per un paio di mesi un aumento della disoccupazione.

Tale eventualità evidentemente è presa ora in considerazione soltanto da pochi “gufi” tra cui sono annoverato.

I mercati azionari non mostrano alcun tentennamento e proseguono la loro corsa al rialzo, inebriati dall’euforia rialzista, che li porta a sottovalutare i dati negativi ed a sovrastimare le notizie positive.

A fare da catalizzatore ai rialzi delle ultime settimane è stata la sorprendente tornata di trimestrali societarie, in buona parte migliori delle attese. Gli utili delle imprese USA quotate sono in genere cresciuti anche nel primo trimestre, e ad un ritmo circa doppio rispetto alle previsioni, nonostante il trimestre grigio dell’economia nel suo complesso. L’evento è anomalo e difficilmente spiegabile, ma sembra dipendere in buona parte dalla globalizzazione.

Infatti occorre constatare che nel complesso le società quotate americane sono per la maggior parte multinazionali e producono al di fuori degli Stati Uniti oltre il 20% dei loro ricavi.

Ebbene le altre economie, da quella europea a quelle dei paesi emergenti (Cina e India in testa) non mostrano alcun segno di rallentamento, ma stanno invece accelerando, beneficiando le multinazionali USA.

Paradossalmente persino la debolezza del dollaro fa bene ai profitti delle maggiori imprese americane, che, vendendo buona parte dei loro prodotti al di fuori degli USA, incassano valuta oggi più pregiata del dollaro, racimolando così plusvalenze sui cambi.

Ancora una volta perciò la globalizzazione fornisce una spinta all’economia, dopo aver già contribuito ad attenuare le pressioni inflazionistiche generate dal caro petrolio.

Non mi stupirei quindi di sentire qualche nuova teoria che giustifichi la salute delle borse motivandola con la capacità delle imprese di fare gli utili anche senza la crescita economica. D’altra parte nel 1999 ci fu chi profetizzò grazie ad internet la fine dei cicli economici e l’avvento dell’età dell’oro. Come allora tornano di moda le teorie che ipotizzano l’inossidabilità della crescita mondiale grazie al “decoupling” degli altri mercati da quelli americani. Appena l’economia USA, nel 2000, diede i primi segni di rallentamento, si ipotizzò la capacità dell’Europa e del Giappone di prendere il testimone della crescita mondiale.

Un ragionamento non dissimile lo si sente fare oggi, aggiungendo alla staffetta anche i paesi emergenti.

Come andò allora lo sappiamo. Il rallentamento americano trascinò dietro di sé tutta l’economia mondiale. Può darsi che questa volta vada a finire in modo diverso, ma non è affatto certo.

Personalmento ritengo che i nodi verranno al pettine e che la globalizzazione possa prolungare per un po’ l’illusione che i bilanci delle imprese riescano a passare indenni dentro la recessione, ma non riesca ad impedire una cocente resa dei conti se l’economia Usa dovesse avvitarsi nella spirale recessiva. E’ solo questione di tempo.

Nell’attesa che i mercati smettano di rimirarsi nello specchio deformato dalla loro sensazione di invulnerabilità, è possibile che il robusto trend rialzista in atto arrivi a testare i fatidici massimi assoluti, che occorre ricordare perché sono ormai molto vicini. Si tratta di quota 1552,87 per l’indice SP500, 8136 per il tedesco Dax e 35001 per il nostro Mibtel.

Si tratta di livelli difficili da superare, che costituiranno una forte resistenza. Ma sono anche livelli che attirano i mercati ed alimentano l’euforia dei risparmiatori, tra i quali sono sempre di più coloro che non hanno mai visto in faccia il mercato orso e quindi non sono vaccinati contro i facili entusiasmi.

 

 

FOCUS MACROECONOMICO

 

DAI DATI DI APRILE SEGNALI DI MIGLIORAMENTO

 

Le ultime settimane hanno portato dati macroeconomici decisamente divergenti se confrontiamo le due sponde dell’Atlantico. In Europa infatti il primo trimestre si presenta decisamente in crescita, senza segni di cedimento, nonostante la temuta incidenza della revisione delle aliquote IVA tedesche attuata ad inizio anno, che avrebbe dovuto provocare un rallentamento del ritmo di crescita del PIL secondo gli analisti.

Ciò non è avvenuto, anzi, se guardiamo alle indicazioni di sentiment, come l’indice IFO tedesco, constatiamo un marcato ottimismo degli operatori, che prevedono una continuazione della crescita trainata dalla domanda interna.

In America abbiamo invece avuto la chiara dimostrazione del rallentamento in atto, che è stato fotografato da una prima rilevazione del PIL del 1° trimestre al +1,3%, decisamente inferiore alle stime degli esperti. Su questo dato incombono alcuni elementi relativi a marzo, non compresi nella stima, che potrebbero addirittura portare la prossima settimana ad una revisione al di sotto dell’1%. Degno di nota anche il fatto che la frenata si sta ripercuotendo sulla capacità di creazione di posti di lavoro, che venerdì scorso ha mostrato un dato inferiore alle attese. In particolare il settore manifatturiero sta perdendo occupati ed al suo interno ha iniziato l’emorragia anche il settore edilizio. Resta a carico del settore servizi la copertura dell’intero incremento dei posti di lavoro.

Sono però giunti anche alcuni dati relativi ad aprile in leggero miglioramento, come gli indici ISM di sentiment dei dirigenti d’azienda, sorprendentemente in rialzo al di sopra delle attese.

Data la situazione è prevedibile un atteggiamento delle autorità monetarie delle due aree molto diverso.

In Europa dovrebbe proseguire la manovra di rialzo dei tassi da parte della BCE, con un quasi certo ritocco al 4% nella prossima riunione di giugno ed un probabile ulteriore rialzo al 4,25 a settembre-ottobre. La Federal Reserve invece resta ingabbiata nella difficile interpretazione della situazione in atto in USA. I responsabile della decisione sui tassi americani continuano a ritenere probabile una fine imminente del rallentamento economico e mantengono alta la guardia contro le pressioni inflazionistiche. Pertanto sembra escluso, a meno di sorprese negative sul fronte occupazionale nei prossimi mesi, un ribasso dei tassi. La forbice tra tassi europei e tassi USA dovrebbe quindi ulteriormente chiudersi, con vantaggio per il cambio euro-dollaro, recentemente portatosi nuovamente sui massimi di due anni fa.

La settimana prevede non molti dati macro. I principali sono quelli americani relativi alla Bilancia Commerciale (giovedì), ai Prezzi alla Produzione e alle Vendite al Dettaglio (venerdì).

Le autorità monetarie europee ed americane si riuniranno in settimana, ma questo mese i tassi non dovrebbero variare. Se così non fosse i mercati verrebbero colti in parte di sorpresa.

 

 

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