Analisi sui mercati finanziari a cura di Pierluigi Gerbino

Docente di Economia - 4° class. al Campionato Italiano di Trading Top Trader 2000

 

Anno 2007  -  Giugno

 

 

 

 

 

LA BARCA VA’…

 

COMMENTO

 

Stiamo vivendo momenti topici sui mercati finanziari.

Potremmo essere al culmine del movimento rialzista iniziato nel 2003 oppure soltanto a metà.

Dipende da quale chiave di lettura si intende utilizzare.

Casella di testo: Nessuno ha la sfera di cristallo. Le opinioni e le previsioni di questo report derivano dall’applicazione di tecniche di analisi e dall’esperienza diretta dell’autore. Si garantisce  scrupolo ed indipendenza nelle analisi. L’esattezza delle previsioni non può garantirla nessuno. Vi è un primo partito, al momento fortemente maggioritario, che ritiene di vivere nel migliore dei mondi possibile. Costoro ipotizzano che l’attuale incertezza del ciclo economico americano si esprimerà nel titpico scenario di “soft landing”, cioè in un semplice rallentamento del ritmo di crescita che nella seconda parte dell’anno, grazie anche ad un ritocco al ribasso dei tassi praticato dalla Federal Reserve, riprenderà la sua marcia regolare al ritmo di crescita di almeno il 3% l’anno.

Accanto alla robustezza americana costoro vedono una forte ripresa in atto in Eurolandia, che spiega in parte la forza dell’euro di queste ultime settimane e un ritmo travolgente e inarrestabile delle economie emergenti, destinate a crescere ancora quest’anno e il prossimo a ritmi da due cifre.

Ovviamente in tale clima la crescita mondiale non dovrebbe subire alcun rallentamento e l’inflazione stabile consentirà di mantenere accomodanti i tassi di interesse un po’ dappertutto.

Pertanto la crescita dei mercati azionari dovrebbe trovare due robusti fuochisti: da un lato la crescita degli utili aziendali, che consentirebbe di mantenere le valutazioni azionarie a buon mercato o quasi nonostante la continua crescita avvenuta in questi ultimi 4 anni, che ha consentito a molti indici di superare i massimi del 2000 o di avvicinarsi moltissimo. Infatti nonostante la salita degli indici di almeno il 50% (per i principali mercati occidentali), la continua crescita degli utili societari ha mantenuto il rapporto P/E (prezzo/utili) a livelli vicini alla media storica. Per fare solo un esempio relativo al mercato più importante del mondo, quelle americano, l’indice SP500 è passato da un minimo di 770 (marzo 2003) ad un valore attuale di crirca 1520, praticamente raddoppiando. Nonostante ciò il rapporto P/E medio relativo alle azioni del paniere è soltanto salito poco oltre 18, quando la media storica di lungo periodo è intorno a 15. Non si può certo dire che le azioni siano care, se consideriamo che ai tempi della bolla del 2000 tale indicatore superava quota 30.

L’altro importante fuochista del motore rialzista dei mercati è la enorme liquidità presente, alimentata dai tassi tutto sommato accomodanti che la bassa inflazione consente.

Tassi così bassi per molti anni hanno alimentato un gigantesco carry trade che si è espresso nella convenienza ad indebitarsi per investire sui mercati azionari e spuntare rendimenti assai superiori agli interessi pagati sui prestiti.

Le stesse imprese hanno potuto imbastire operazioni di fusione ed acquisizione a prezzi a volte di vera affezione e completamente fuori da ogni minimo buon senso, pur di aumentare il loro potere di mercato ed eliminare concorrenti. Le operazioni di M&A (così vengono chiamate le fusioni ed acquisizione) sono cresciute a dismisura superando tutti i record dei tempi della bolla.

In tali condizioni di euforia, che porta le borse a considerare queste operazioni come occasione speculativa piuttosto che come indicatore di scollamento dalla realtà all’inseguimento dei sogni, se effettivamente l’economia americana dovesse evitare la recessione è ipotizzabile che i mercati azionari raggiungano vette impensabili, prima di crollare sotto il peso di una recessione continuamente rinviata.

A questa schiera di ottimisti si contrappone un gruppo più sparuto di “gufi”, che ritiene invece molto probabile una recessione. A questo partito si è iscritto recentemente anche Alan Greenspan, da qualche mese assai ciarliero e presente a diverse conferenze, dove, previo cachet di almeno 100.000 dollari a serata (meglio di George Clooney), dispensa la sua visione dei mercati.

Ebbene, l’ex responsabile della Fed ha cominciato a dichiarare apertamente che a suo parere l’esito più probabile è quello del cosiddetto “hard landing” (atterraggio duro), che avverrà con una recessione in USA nel secondo semestre di quest’anno. Evidentemente l’ex timoniere dell’economia Usa deve avere poca fiducia nelle capacità manovriere del suo successore. D’altra parte ricordo che lui stesso, nel 2001, quando era al timone della Fed, accreditò l’ipotesi dell’atterraggio morbido che i fatti smentirono amaramente con la recessione del 2002 e le borse punirono sonoramente col crollo del triennio 2000-2002.

Quello che evidentemente Greenspan sa, perché lo ha vissuto sulla sua pelle, ma che possiamo agevolmente verificare da grafico in pagina, è che le autorità monetarie assai raramente riescono ad evitare una recessione dopo averla evocata con la manovra restrittiva che generalmente la precede.

 

 

FOCUS MACROECONOMICO

 

… E SE L’ATTERRAGGIO FOSSE DURO ?

 

La settimana corrente si presenta molto ricca di importanti dati economici chiamati a fornire qualche ulteriore elemento di riflessione ai mercati.

Fino ad oggi lo scenario su cui sia i mercati che la maggioranza degli esperti di economia stanno lavorando è con molta evidenza quello dell’atterraggio morbido dell’economia americana. Ne è la prova il fatto che tale impostazione è ulteriormente avvalorata dal “sigillo” della posizione ufficiale della Federal Reserve, che continua ad esprimersi, ogni qual volta ne abbia occasione, con una visione tranquillizzante del futuro economico degli States.

Nei giorni scorsi, complici anche le festività, non sono stati pubblicati dati di rilievo, e quei pochi sono stati interpretati con l’ottimistica chiave di lettura a cui ho fatto riferimento.

Il dato sorprendentemente positivo sulle vendite di nuove case ad aprile (+ 16% quando gli esperti si attendevano un misero rimbalzo del 2%) ha fatto profetizzare a molti commentatori la fine delle difficoltà per il settore edilizio USA.

Tuttavia, se si guarda al dato in modo non superficiale, ci si accorge che il balzo è stato possibile grazie al crollo dei prezzi avvenuto in gran parte del territorio americano, che ha rappresentato un’occasione di acquisto ai saldi. La vendita di case non nuove, dove generalmente si ha un po’ più di pazienza a vendere, ha continuato a diminuire anche in aprile. Pertanto, se consideriamo che sull’intero mercato immobiliare le contrattazioni di case esistenti rappresentano l’80%, mentre le compravendite di case nuove solo il 20%, appare un po’ presto per cantare vittoria. Inoltre l’accelerazione del processo di trasferimento sui prezzi delle difficoltà a vendere non ci rivela solo che il mercato oggi pare in mano ai compratori dopo molti anni in cui erano i venditori a dettare le condizioni, ma desta qualche apprensione sulla capacità di tenuta dei consumi, ora che potrebbe manifestarsi un vero e proprio “credit crunch”, dovuto alle necessità di rientro dei debiti a causa del venir meno del valore della garanzia.

Pertanto occorrerà tenere d’occhio i prossimi dati relativi al mercato immobiliare, quelli sui consumi e le vendite al dettaglio, senza perdere di vista le insolvenze e le difficoltà delle agenzie che erogano mutui alla categoria “subprime”, che sono particolarmente esposte alle insolvenze e potrebbero trasferire le loro difficoltà alle grandi istituzioni finanziarie che le controllano.

Un altro importante indicatore sarà quello relativo alla creazione di posti di lavoro, su cui dovrebbero cominciare a scaricarsi i licenziamenti del settore edilizio, finora abbastanza contenuti. 

Può darsi che Greenspan, che ha pronosticato una probabile recessione americana nel secondo semestre, pecchi di eccessivo pessimismo. Tuttavia archiviare le sue parole con un’alzata di spalle e continuare a prendere le brutte notizie come se fossero buone, poiché incentivano la Fed ad abbassare i tassi, potrebbe causare un triste risveglio.

Intanto nei prossimi giorni dovremmo avere la seconda stima del PIL USA del 1° trimestre che potrebbe essere rivisto in considerevole ribasso ed al di sotto dell’1%.

 

 

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