Analisi sui mercati finanziari a cura di Pierluigi Gerbino

Docente di Economia - 4° class. al Campionato Italiano di Trading Top Trader 2000

 

Anno 2007  -  Dicembre

 

 

 

 

 

IL RALLY PRIMA DELL’ORSO

 

COMMENTO

 

Casella di testo: Nessuno ha la sfera di cristallo. Le opinioni e le previsioni di questo report derivano dall’applicazione di tecniche di analisi e dall’esperienza diretta dell’autore. Si garantisce  scrupolo ed indipendenza nelle analisi. L’esattezza delle previsioni non può garantirla nessuno. Nelle ultime settimane sui mercati sono arrivate pessime notizie dal settore immobiliare americano, che si sta avvitando senza apparente capacità di reazione, e dal settore finanziario, con una continua revisione al rialzo delle stime sulle “sofferenze” provocate dal ciclone “mutui subprime”. Anche i più ottimisti sono stati costretti ad ammettere che le difficoltà denunciate in agosto e settembre, a causa dell’allegra gestione dei prodotti strutturati sui mutui spazzatura, non erano che la punta dell’iceberg e che i prossimi mesi dovrebbero portare ulteriori svalutazioni sul sistema bancario USA.

Alcune tra le principali banche americane (Citigroup, Merrill Lynch, Morgan Stanley) hanno dovuto accantonare fondi a copertura di perdite legate ai prodotti strutturati sui mutui subprime, e tali svalutazioni non appaiono ancora le ultime, al punto che i mercati, penalizzandole di circa il 50% da inizio anno, scontano ulteriori brutte notizie.

La crisi delle banche si affianca a quella delle agenzie federali specializzate sui mutui (Fannie Mae e Freddie Mac), che in borsa hanno perso due terzi del loro valore in meno di due mesi, e dimostrano la scarsa fiducia che il mercato nutre sulle future capacità di rimborso dei mutui da parte delle famiglie americane.

Personalmente è parecchio tempo che vedo come assai probabile una caduta in recessione dell’economia americana. I miei lettori sono forse stufi di leggere le mie fosche previsioni, che nei mesi scorsi contrastavano con l’ottimismo imperante della crescita senza fine.

Ora noto che il numero dei pessimisti sta drastiamente aumentando, al punto che anche la Federal Reserve, nella sua ultima riunione del FOMC, ha rivisti le stime abbassando l’asticella delle loro previsioni di crescita americana futura ad un livello intorno al 2%. La Fed non parla di recessione. Se lo facesse le si potrebbe chiedere conto di che cosa stia facendo per impedirla, dato che questo è uno dei suoi compiti statutari.

Tuttavia traspare chiaramente il sudore freddo che sta percorendo le schiene dei banchieri americani, che li costringe a dichiarare che esistono rischi di future revisioni verso il basso se la crisi dei mutui dovesse aggravarsi (come ormai quasi tutti gli osservatori indipendenti stanno prevedendo).

Un ulteriore indicatore di crisi è dato dal comportamento dei mercati azionari, che sono tornati praticamente sui livelli di agosto e stanno testando supporti decisivi, che se sfondati metterebbero definitivamente la parola fine al lungo trend rialzista partito ad ottobre 2002. Il VIX, cioè l’indice della volatilità implicita sulle opzioni sull’indice SP500, che ho in passato soprannominato “l’indice della paura” per la sua caratteristica di crescere in concomitanza con le manifestazioni di panico sui mercati, è tornato in prossimità del valore di 30, un livello assai vicino ai massimi raggiunti durante il crollo di agosto.

Siamo quindi assai vicini a punti di rottura di assoluto rilievo, che non possono essere sottovalutati.

Tuttavia personalmente penso che ancora una volta i mercati rimbalzeranno, anche se quello che si dovrebbe verificare non riuscirà a ripristinare il trend in atto. Ritengo infatti che i valori massimi raggiunti a luglio debbano essere considerati un top di lungo periodo, non superabili per molti mesi, fino a quando si sarà compiutamente espresso il ciclo ribassista di lungo termine.

Il rally di Natale dovrebbe riuscire soltanto a realizzare un nuovo massimo discendente, da cui dovrebbe poi partire la fase centrale della correzione, che porterà gli indici ben al di sotto degli attuali valori. Un massimo che permetterà a qualcuno di sostenere, ancora una volta, che saremo alla fine dl tunnel (mentre in realtà ci saremo appena entrati) e consentirà alle cosiddette “mani forti”, che anticipano e creano i cicli sui mercati finanziari, di effettuare una ulteriore distribuzione a coloro che entreranno incautamente sul rimbalzo.

Per quale motivo i mercati dovrebbero rimbalzare?

Concorrono 3 fattori. Il primo è tecnico-grafico: tutti gli indici principali stanno testando importanti trend lines di lungo periodo, quelle che se sfondate decreterebbero la morte del toro, e lo fanno in condizioni di eccesso ribassista e con divegenze rialziste sui principali oscillatori. Tali condizioni in tutte le precedenti occasioni hanno causato un rimbalzo.

Il secondo fattore è statistico: nella storia della borsa USA oltre 80 volte su 100 il mese di dicembre è stato rialzista, per cui le probabilità sono a favore del rally di fine anno.

Il terzo fattore è comportamentale: tradizionalmente l’industria del risparmio gestito effettua in dicembre il “window dressing”, cioè il tentativo di ritoccare in positivo le prestazioni dei loro portafogli gestiti, e lo fa soprattutto negli anni in cui la performance non è soddisfacente. Presentarsi ai clienti con una performance annuale negativa non desta una favorevole accoglienza, per cui l’impegno dei gestori per una “cosmesi” migliorativa dei propri portafogli dovrebbe essere garantito.

Ce n’è quanto basta per ipotizzare un dicembre non negativo, anche se l’eventuale positività dovrà a mio parere essere interpretata come occasione di elegante uscita dal mercato.

A gennaio tutti questi fattori non si ripresenteranno ed i mercati saranno liberi di scendere per valorizzare adeguatamente la recessione americana prossima ventura.

 

 

FOCUS MACROECONOMICO

 

AUMENTANO LE CASSANDRE. LA RECESSIONE IN USA APPARE SEMPRE PIU’ PROBABILE

 

La scorsa settimana, semifestiva per gli USA, a causa della Festa del Ringraziamento, non ha portato molti dati su cui riflettere. Il mercato immobiliare ha dato qualche segno di stabilizzazione, ma su valori minimi storici. L’inversione di tendenza, sia dal lato delle costruzioni che dal punto di vista della fiducia dei costruttori, non si sta ancora manifestando.

Una certa vivacità è venuta dal “mercato” delle previsioni, con una significativa presa d’atto, da parte di molti osservatori, che la crisi subprime non è ancora per nulla archiviata. Anzi, se sono da prendere per veritiere le ultime ipotesi che circolano, la situazione è lungi dall’essere sotto controllo. Infatti, da una stima di perdite comprese tra i 50 e 100 miliardi di dollari, fatta da Bernanke questa primavera, si è passati ad una previsione raddoppiata in settembre. Ora alcune banche ipotizzano un buco fino a 400 miliardi, equamente ripartito al 50% tra banche e fondi hedge.

Se così sarà, e sempre che le “sofferenze” non aumentino ulteriormente, le svalutazioni fin qui effettuate dalle principali banche Usa e mondiali sono appena l’antipasto di quello che i mercati dovranno digerire nei prossimi mesi. I fondi hedge, da parte loro, verranno schiacciati dalle perdite non meno delle banche e saranno costretti a liquidazioni precipitose che dovrebbero assestare duri colpi ribassisti ai mercati.

Lo scenario apocalittico che si sta delineando ha provocato l’aumento della schiera dei pessimisti, che parlano della recessione americana come di un evento ormai inevitabile, dal momento che il credit crunch sta attanagliando ormai tutti i settori e bloccando investimenti e consumi, mentre il possibile calo congiunto di prezzi delle case e quotazioni delle azioni è in grado di trascinare al ribasso anche la fiducia dei consumatori e la loro aggressività consumistica.

E’ vero che la maggioranza degli esperti continua ad essere favorevole ad un semplice rallentamento, anche se più forte di quanto si credesse qualche tempo addietro, ma i pessimisti crescono e questa è una indicazione di “sentiment” offuscato.

Tutto questo avviene nonostante giovedì prossimo la seconda stima del PIL americano del 3° trimestre rivelerà un valore ancora superiore al precedente calcolo, ad un livello probabilmente vicino alla stratosferica cifra del 5% su base annua.

Si tratta del notevole paradosso di una economia che ha subito una brusca frenata proprio nella parte finale del terzo trimestre ed ha invertito decisamente la direzione.

Intanto i primi dati che provengono dalle statistiche sullo “shopping del thanksgiving” non sono negative. Gli americani, che tradizionalmente iniziano l’assalto ai centri commerciali per gli acquisti natalizi proprio durante il ponte della Festa del Ringraziamento, anche quest’anno sembrano rispondere alla grande, con acquisti superiori a quelli dello scorso anno, alla faccia dei dubbi sulla tenuta dei consumi. Va però notato che molti grandi “Store” hanno lanciato offerte speciali a prezzi di saldo, per cui bisogna vedere se il ritmo dei consumi terrà anche nelle prossime settimane.

 

 

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