Analisi sui mercati finanziari a cura di Pierluigi Gerbino

Docente di Economia - 4° class. al Campionato Italiano di Trading Top Trader 2000

 

Anno 2008  -  Dicembre

 

 

 

 

 

L’ULTIMO DEGLI OTTIMISTI

 

COMMENTO

 

Casella di testo: Nessuno ha la sfera di cristallo. Le opinioni e le previsioni di questo report derivano dall’applicazione di tecniche di analisi e dall’esperienza diretta dell’autore. Si garantisce  scrupolo ed indipendenza nelle analisi. L’esattezza delle previsioni non può garantirla nessuno. Ottobre e novembre hanno portato la crisi finanziaria pesantemente nel piatto dell’economia reale. I dati che si stanno susseguendo sono a dir poco terrificanti. Il blocco del credito, causato in tarda estate dallo scoppio della “bolla subprime” e dall’emersione di ingenti perdite sui titoli allegramente sottoscritti dai principali istituti di credito mondiali, si è trasmesso all’economia produttiva in modo così ampio e così rapido da provocare una caduta dell’attività economica a dir poco epocale.

Credo che nessuno immaginasse possibili le statistiche macroeconomiche che abbiamo visto in queste ultime settimane. Infatti i dati che vengono presentati giorno per giorno sono generalmente due volte più brutti di quanto si attendevano le già negative previsioni degli analisti.

Il crollo riguarda tutti i comparti dell’economia reale USA. Gli investimenti in questi mesi stanno diminuendo a ritmi mai visti. L’edilizia aumenta ancora l’intensità del suo crollo, gli ordini di beni durevoli sono in picchiata (le vendite di auto calano mediamente di circa il 30% al mese). I consumi hanno invertito la direzione nel terzo trimestre di quest’anno e proseguono la loro forte contrazione, che sarà confermata dal dato sulle vendite al dettaglio di novembre previsto nei prossimi giorni. Le attese dei manager, che si rispecchiano negli indici di sentiment che le elaborano (ISM, PMI), danno risultati mai visti da quando questi indici sono stati inventati. L’ISM è ormai decisamente inferiore al valore 40, che aveva rappresentato il pavimento delle aspettative nelle precedenti recessioni.

Il dato sul mercato del lavoro rivela poi come le imprese stiano velocemente ristrutturandosi per cercare di limitare i danni della crisi. La riduzione di posti di lavoro (2 milioni persi da inizio anno, ma oltre 1 milione negli ultimi 3 mesi e 533.000 solo a novembre: un’accelerazione senza precedenti) cerca di limitare il peggioramento dei bilanci aziendali, ma non certo di quelli di milioni di famiglie americane, che, grazie alle carte di credito revolving, hanno già speso molti stipendi futuri che non percepiranno più, avviandosi tristemente al fallimento o a drastiche ulteriori riduzione di consumi.

L’accelerazione della recessione in atto è stata così violenta e repentina da lasciare inebetiti i commentatori, che si limitano a balbettare frasi di circostanza e continuano a non capire che quel che stiamo vivendo non ha nulla a che vedere con le precedenti recessioni del dopoguerra. Questi stessi commentatori rimarranno esterrefatti tra poco più di un mese, quando sarà comunicata la prima stima del PIL americano del quarto trimestre e dovranno constatare l’entità del crollo economico. Personalmente non ho gli strumenti per fare una stima accurata, ma non sarei affatto sorpreso di vedere un tasso di variazione annualizzato in calo del 3 o anche del 4%.

Debbo dire che io stesso, che parlo di recessione in arrivo fin dalla primavera del 2007, sono rimasto sorpreso dalla violenza della frenata: in poche settimane la resa dei conti è passata dal mondo della finanza alle borse, dalle borse alle materie prime, dalle materie prime all’economia reale. Ma non solo: dagli Usa al Giappone, all’Europa, ai Paesi Emergenti, al mondo intero. Abbiamo toccato con mano che la globalizzazione funziona in entrambe le direzioni: ha alimentato l’illusione della crescita infinita fino all’inizio di quest’anno, quando molti commentatori giustificavano il loro ottimismo di maniera sostenendo che il timone della crescita sarebbe passato dagli USA ai BRIC ed il PIL mondiale avrebbe potuto ancora salire a buoni livelli anche in presenza di una recessione USA.

Ha però poi rivelato in pochi mesi la sua faccia nascosta: la globalizzazione è stata creata ed alimentata per favorire le multinazionali e la prosperità dell’economia USA. I BRIC hanno costruito la loro emergente ricchezza sull’espansione dei consumi americani di beni ed energia. Se questi vengono a mancare si sgretola la terra sotto i loro piedi. Inoltre la globalizzazione finanziaria priva di regole ha mostrato come anche le grandi banche europee e mondiali siano rimaste incastrate come e forse più delle stesse banche USA nel “grande bluff” costruito dalle banche d’affari americane. Lo scoppio della bolla ha perciò trascinato in passivo anche i bilanci dell’intero sistema bancario mondiale e di conseguenza ha mandato in blocco l’economia di tutto il pianeta.

Ora il problema non è più “se” l’economia USA sia in recessione. Il National Bureau of Economic Research, l’ente pubblico americano incaricato ufficialmente di “catalogare “ le recessioni, qualche giorno fa ci ha comunicato che la data ufficiale di inizio della recessione USA va posta a dicembre del 2007 (guarda caso, pochi mesi dopo i miei allarmi: spiace l’evento, ma fa piacere averlo previsto, tra i pochi, con tempestività).

Lo stesso Bush, che sarà probabilmente ricordato nella storia degli USA come il Presidente più bugiardo di tutti, ha usato il fatidico termine, dopo averlo escluso in  centinaia di dichiarazioni degli ultimi mesi.

Dal momento che anche Pinocchio ne parla, evidentemente occorre chiedersi se tale termine sia ancora appropriato o se dobbiamo invece sostituirlo con l’assai più lugubre vocabolo utilizzato a descrivere gli eventi susseguitisi nel decennio che ha preceduto la seconda guerra mondiale: Depressione.

In altri termini, occorre tentare di fare quel che finora nessuno ha osato: confrontare l’attuale crisi con quella del ’29 e chiedersi se ciò che è iniziato è paragonabile al terribile periodo che pochi tra i presenti oggi sul nostro pianeta possono raccontare per averlo vissuto.

Lo farò in un prossimo intervento.

Ora però è bene spiegare per quale motivo proprio il giorno in cui i terribili dati sul mercato del lavoro venivano comunicati al mondo ed anche l’ultimo degli ottimisti ha gettato la spugna (se vogliamo essere precisi il penultimo: ce n’è ancora uno in Italia) i mercati hanno smesso di scendere per tentare l’ennesimo rimbalzo. E quale possibilità di continuare tale rimbalzo abbia.

Credo che i mercati ci abbiano mostrato per l’ennesima volta uno dei classici meccanismi psicologici che fanno arrabbiare i fondamentalisti, perché vanno a cozzare con la “razionalità” e mandano all’aria le loro belle teorie sull’efficienza dei mercati.

Infatti se guardiamo quel che è successo sui mercati in questo terribile 2008, prendendo a modello l’indice SP500, possiamo notare come il comportamento dell’indice abbia costantemente preso in contropiede la stragrande maggioranza dei cosiddetti analisti, cioè coloro che per mestiere cercano di formulare delle previsioni sull’andamento dell’economia e delle società quotate.

Ancora una volta la borsa ha anticipato la realtà presentandoci un crollo apparentemente immotivato. Ricordo di aver partecipato il 3 giugno scorso ad un dibattito pubblico con uno di questi analisti. L’indice SP500 valeva 1.370 e si era ripreso dai minimi di marzo. Ricordo che l’analista candidamente recitò il copione che si leggeva sui forum di Milano Finanza e si sentiva a Radio24: i mercati sono già scesi molto; l’economia USA rallenta ma non è detto che vada in recessione; il sistema bancario non ha più molte perdite da far emergere; le azioni sono a buon mercato perché il rapporto P/E è più basso della media storica; probabilmente la correzione è già finita e comunque è bene accumulare in ottica di medio-lungo periodo.

 

 

L’estate ha mandato a gambe all’aria questo modello. Quel che più conta è che tutto quel che è avvenuto sui mercati ha anticipato e non seguito l’andamento dell’economia. Infatti la devastazione de listini ha preceduto di pochi mesi quel che sull’economia reale le statistiche ci rivelano solo ora.

Ancora una volta è stato smentita la convinzione che i mercati riflettono l’andamento dell’economia e dei bilanci societari. I mercati con i loro movimenti impulsivi, che determinano i trend di medio-lungo periodo, anticipano l’economia. I bilanci invece la seguono.

Fin quando i mercati e l’economia vanno nella stessa direzione questo non è un problema.

Lo diventa nei momenti di svolta ciclica, cioè quando un sistema economico passa dalla crescita alla recessione, oppure dalla recessione alla ripresa.

In queste due situazioni mercati e bilanci ci fanno vedere due mondi diversi. I grafici ci mostrano il futuro dei bilanci, mentre i bilanci ci mostrano il passato dei grafici.

Gli analisti fondamentali, che sostanzialmente basano gran parte delle loro stime sull’estrapolazione del passato, in questi frangenti vengono pesantemente smentiti dai mercati e sono costretti a rincorrerli effettuando continue revisioni al ribasso delle loro stime (o al rialzo quando si passa dalla recessione alla ripresa). E’ appena il caso di ricordare che chi si affida agli analisti per decidere i suoi investimenti viene sottoposto ad una pressione psicologica non indifferente, perché vede i mercati andare esattamente dalla parte opposta rispetto alle previsioni di questi esperti. Quando il movimento è forte, come in questi ultimi mesi, la fedeltà all’analisi fondamentale può costare perdite difficilmente recuperabili in tempi non biblici.

Basta ragionare su quanto accaduto al nostro indice Mibtel: dai massimi del maggio 2007 ai minimi di venerdì scorso ha perso il 59,2%. Per annullare tale perdita e tornare ai valori di partenza dovrà salire del 145%. Quanto tempo ci vorrà, ammesso ma purtroppo non concesso che quei minimi non siano più violati ed il recupero sia già iniziato?

Ovviamente sui grafici i movimenti non avvengono in modo lineare. I trend si manifestano tramite impulsi e correzioni che si susseguono, formando degli andamenti direzionali di diversa portata. I movimenti possono essere di breve periodo (settimane), medio periodo (mesi) e lungo termine (anni).

Nei momenti di svolta non è facile distinguere la semplice correzione di breve periodo dall’inversione di medio-lungo termine.

Tuttavia qualche tentativo lo si può fare con l’ausilio dell’analisi grafica. Ricordo che io indicai a Natale dello scorso anno di alleggerire le posizioni mentre il 19 gennaio decretavo ufficialmente la morte del mercato toro e l’inizio della stagione dell’orso. I relativi articoli sono pubblicati nella sezione “Commenti ed Analisi” di www.borsaprof.it

Può darsi che io abbia avuto fortuna ad azzeccare l’analisi. In ogni caso non si è trattato di particolare bravura, ma di semplice ed umile lettura di quel che il mercato ci ha voluto indicare.

Credo però che non sia intellettualmente onesto attribuire alla sfortuna il verificarsi di eventi che sistematicamente si rimuovono dall’elenco delle possibilità per pregiudizio, come fanno gli analisti fondamentali che non prendono mai in considerazione l’ipotesi della recessione e del conseguente calo dei mercati fino a quando la realtà non glieli sbatte in faccia.

Solo allora ne prendono atto ed attribuiscono gli eventi a improvvise ed imponderabili disgrazie.

Mi scuso per questo lungo inciso, che non sono riuscito a trattenere, dal momento che ultimamente si leggono in giro affermazioni perentorie secondo cui “neanche l’analisi tecnica ormai funziona più”.

Direi più correttamente che non funziona se viene fatta male, perché i miei articoli citati si sono basati proprio sull’analisi tecnica.

Perché i mercati effettuano i loro movimenti a zig zag, alternando impulsi e correzioni? Perché l’operatività in borsa soggiace alle aspettative degli investitori e riflette l’azione comportamentale dei medesimi in base alla percezione che essi hanno del futuro. Evidentemente la percezione del futuro viene fortemente condizionata dall’emotività.

 

Perciò quando si dispiega un trend negativo il mercato viene trascinato giù con impulsi ribassisti che riflettono la progressiva presa di coscienza della negatività dell’economia, che stimola l’attesa di un’ulteriore negatività. Le momentanee correzioni (rimbalzi) sono dettate da rigurgiti di speranza che la misura sia ormai colma e dall’avidità di chi crede di fare affari comprando titoli che “sono già scesi troppo”. A questi elementi si aggiungono poi le “prese di beneficio” degli speculatori al ribasso che si accontentano momentaneamente dei guadagni realizzati durante l’impulso. Tuttavia fino a quando la percezione collettiva non cambia di polarità, avremo sempre nuovi impulsi ribassisti a segnare nuovi minimi di mercato e le correzioni non riusciranno mai a superare le resistenze, cioè i punti di ingresso della speculazione ribassista.

Tornando dalla teoria alla pratica, ci dobbiamo chiedere se il rimbalzo partito in questi giorni sul nostro mercato e fin dal 21 novembre sull’indice americano SP500 sia classificabile come semplice correzione oppure abbia già i caratteri dell’inversione ciclica.

Personalmente propendo per la prima delle due ipotesi per alcuni motivi:

1)     Il movimento ribassista partito da metà maggio è stato talmente violento che deve aver segnato profondamente l’emotività della massa degli operatori. Qualcuno è riuscito a scappare in tempo. Tra essi dovrebbero esserci i miei lettori, se hanno avuto fiducia nelle mie analisi. Altri sono usciti nelle ultime settimane, per disperazione. La maggior parte comunque è ancora significativamente investita e sta subendo uno stress psicologico notevole. Aspetta prezzi un po’ più alti per fare le valigie. Se il rimbalzo dovesse proseguire per un po’ e recuperare parte del terreno perduto, arriverebbero perciò vendite cospicue dovute all’uscita dei ritardatari. Inoltre credo che molti ribassisti dovrebbero aver preso profitto od essere in procinto di farlo, alimentando così ancora un po’ di recupero. Nel frattempo possono godersi i guadagni passando ai Caraibi le settimane a cavallo di fine anno. Però credo che se i mercati protrarranno un po’ il recupero e si dovessero rivedere livelli un po’ più alti sugli indici, non resisterebbero alla tentazione di riposizionarsi al ribasso, vendendo anch’essi. Per cui se l’economia reale non dovesse dare segni inequivocabili di ripresa entro pochi mesi, dovrebbe esserci ancora un movimento ribassista, in grado di portare gli indici sui minimi di questo 2008 e magari significativamente al di sotto.

2)     Graficamente si scorge un trend molto chiaro di lungo periodo, che per invertire ha parecchie resistenze da abbattere. In termini di teoria di Eliott (per gli iniziati) quella che potrebbe essersi conclusa appare come l’onda 3 impulsiva di un movimento ribassista a 5 onde. Dovremmo vedere ora l’onda 4 rialzista che non dovrebbe andare oltre l’area 1.170 di SP500, seguita dall’onda 5 impulsiva e nuovamente ribassista con obiettivo almeno i minimi dell’anno in corso.

3)     I mercati azionari, con il forte calo autunnale hanno preso atto di una crisi economica molto grave, probabilmente la più grave del dopoguerra. La gravità della recessione è già scontata nei livelli di prezzo raggiunti in novembre. Non è ancora scontata la sua durata ed in particolare un prolungamento che incida gravemente sui bilanci aziendali del 2009. E’ relativamente poco tempo che è scattato l’allarme sulla durata della recessione e sulla sua possibile trasformazione in Depressione. Gli analisti hanno soltanto iniziato il processo di revisione al ribasso degli utili societari e per ora non prevedono quella devastazione sui bilanci che una depressione potrebbe provocare, con tutti gli strascichi in termini di fallimenti. Se la crisi non si attenuerà presto, se le misure dei vari governi e delle banche centrali non sortiranno l’effetto di riportare rapidamente un po’ di fiducia negli operatori temo che i mercati dovranno scendere ancora. 

 

 

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